Non ci sono, infatti, limiti alle assemblee fuori orario, come d’altronde è normale che sia; ma perché i dipendenti possano incontrarsi nel corso dell’ordinario..
Non ci sono, infatti, limiti alle assemblee fuori orario, come d’altronde è normale che sia; ma perché i dipendenti possano incontrarsi nel corso dell’ordinario orario di lavoro la legge fissa un limite stringente, per evitare che, com’è intuitivo, questo loro diritto possa danneggiare eccessivamente gli interessi del datore.
Un caso particolare di interpretazione dell’articolo 20 è stato sottoposto recentemente all’attenzione della Corte di Cassazione. La vicenda riguardava un’industria privata, in cui le rappresentanze aziendali aderenti, rispettivamente, a CGIL, CISL e UIL avevano usufruito separatamente di un’ora di assemblea nel corso dell’anno.
I rappresentanti della CGIL (o, più precisamente, della FIOM), però, avevano chiesto un’ulteriore ora per un’altra riunione, ottenendo il rifiuto della dirigenza aziendale. Il problema era strettamente legato all’interpretazione giuridica: se per la FIOM le famose tre ore spettavano in maniera distinta a ciascuna rappresentanza sindacale, per il datore si dovevano invece conteggiare tre ore in tutto.
Il sindacato si era quindi rivolto al giudice, individuando nell’atteggiamento dell’azienda una grave condotta antisindacale (sanzionata pesantemente dalla legge).
La Corte di Cassazione, però, ha deciso diversamente (dando, fra l’altro, ragione ai giudici di merito che si erano espressi a loro volta contro il ricorso della FIOM). Con la sentenza 18838/2010, infatti, la Suprema Corte ha ritenuto che le tre ore vadano considerate come il totale delle assemblee sindacali aziendali: se così non fosse, hanno detto i giudici, il legislatore avrebbe parlato espressamente di tre ore a favore di ciascuna sigla.
Fonte: Il Sole 24 Ore