L’articolo 3 della Costituzione stabilisce il fondamentale principio dell’uguaglianza: il legislatore è stato incaricato..
Un esempio tipico è offerto dai contratti di lavoro, di qualsiasi genere: mentre il lavoratore ha sempre il diritto di porvi fine in ogni momento con le proprie dimissioni, e senza dover fornire particolari giustificazioni, per il datore di lavoro il discorso è notevolmente più complesso: il licenziamento è infatti possibile solo a date condizioni, peraltro molto differenziate a seconda delle caratteristiche del datore stesso e della natura dell’attività svolta.
Il motivo di questa disparità è evidente: mentre per il datore la perdita di un lavoratore è facilmente compensabile con una nuova assunzione, oltretutto molto facilitata in un periodo di forte disoccupazione come l’attuale, per il dipendente il discorso è nettamente più drammatico, in quanto viene a mancare quella che spesso è l’unica fonte di sostentamento della propria famiglia.
Una disparità effettiva ed evidente, cui il legislatore pone rimedio con la soluzione che si è indicata.
Il lavoratore subordinato può dunque dimettersi in qualsiasi momento, e qualunque sia la sua mansione. Gli è solo richiesto di rispettare un periodo minimo di preavviso prima di andare via, per consentire al datore di trovare il sostituto; ma egli può anche dimettersi senza preavviso, corrispondendo al datore un’indennità.
La durata del preavviso e l’ammontare dell’indennità sono solitamente determinate dagli accordi sindacali.
Il tema delle dimissioni del lavoratore, e soprattutto del triste e diffuso fenomeno delle “dimissioni in bianco”, sono state al centro dell’attenzione del precedente governo e dell’attuale: su questo tema ritorneremo nella prossima puntata.