Punti critici rimangono la flessibilità in entrata, la flessibilità in uscita e gli ammortizzatori sociali.
Punti critici rimangono la flessibilità in entrata, la flessibilità in uscita e gli ammortizzatori sociali.
FLESSIBILITA’ IN ENTRATA
Le nuove forme contrattuali elaborate dal Governo Monti, il cui unico obiettivo sarebbe quello, per lo meno stando alle indiscrezioni, di rendere il mondo del lavoro meno precario grazie alla possibilità di entrarvi in maniera decisamente più graduale, avrebbero scontenta Emma Marcegaglia e con lei tutta la Confindustria.
Le imprese italiane, soprattutto se di medie o di piccole dimensioni, potrebbero infatti non riuscire a sostenere l’aggravio fiscale previsto per tutti quei soggetti che, non adattandosi alle direttive governative, dovessero scegliere di non trasformare i propri dipendenti a tempo determinato in dipendenti a tempo indeterminato
FLESSIBILITA’ IN USCITA
La flessibilità in uscita, in particolare, spaventerebbe e scontenterebbe le principali sigle sindacali che, soprattutto nella possibile abolizione dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori piuttosto che nella sua trasformazione sul modello tedesco, vedrebbero la fine di tutte le tutele dei più basilari diritti umani (come riuscire a capire, infatti, in quali casi codesto strumento sarebbe usato in modo corretto piuttosto che in modo del tutto arbitrario e senza la possibilità, per il dipendente ingiustamente ed illegalmente licenziato, di far valere il proprio diritto al reintegro piuttosto che ad un adeguato indennizzo?)
AMMORTIZZATORI SOCIALI
Per quanto riguarderebbe codesto punto, purtroppo, l’accordo potrebbe non trovarsi se non in seguito a lunghissime ed estenuanti discussioni.
Se, infatti, da un parte gli strumenti proposti dal governo non sarebbero adeguati a sostenere il cambio di direzione che l’esecutivo intenderebbe intraprendere, dall’altra non vi sarebbero nemmeno i fondi, a meno di non chiederli direttamente alle aziende, per attuare la riforma del welfare.