FRATTINI: Si “no fly zone”, ok usare basi italiane

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Il ministro Frattini dice si all'uso di basi italiane per la "no fly zone". Il trattato italo-libico prevede il contrario, ed è formalmente valido.

CHE COS’E’ LA “NO FLY ZONE” E COSA PREVEDE IL TRATTATO ITALO-LIBICO
“No Fly Zone” è una parte di cielo in cui vige un divieto di volo. Questo divieto può essere limitato, in contesti militari, al solo transito di aerei civili. Oppure può essere istituito in casi di potenti calamità naturali, come accadde con la nube di cenere vulcanica proveniente dall’Islanda che, l’anno scorso, creò gravi disagi al traffico aereo.
Per attuare questo divieto in un contesto come quello della Libia bisognerebbe prima ricorrere a un’azione militare con il fine di neutralizzare armamenti e basi logistiche del “colonnello” Gheddafi, con bombardamenti: “no-fly zone” è quasi un eufemismo giornalistico che indica un’azione di guerra. Dopo aver distrutto le basi nemiche si procederebbe a far sorvolare e sorvegliare la zona.


Per fare questo tipo di intervento serve l’aiuto dei paesi confinanti, logicamente anche l’Italia, che devono fornire supporti con l’utilizzo di basi, velivoli e attrezzature. Il ministro Frattini un mese prima della rivolta libica dichiarava al “Corriere della Sera” che Gheddafi doveva essere “modello” per dialogare con il mondo arabo. Oggi le cose sono cambiate e perfino la Russia ha scaricato il dittatore: il consiglio dell’Onu potrebbe predisporre il divieto in queste ore. Il ministro Frattini dice si all’uso di un eventuale uso di basi italiane, anche se i trattati “di amicizia Italia-Libia” impongono all’Italia il contrario. Alcuni giorni fa, il ministro della difesa La Russa dichiarò che il trattato era di fatto “sospeso”. Tecnicamente, come ha spiegato anche il ministro degli esteri, il trattato è un atto formale che potrà essere annullato dal parlamento e che quindi è valido, anche se si augura “che non verrà annullato in modo che potremo riprenderlo con il successore di Gheddafi”. Intanto, almeno formalmente, il trattato vale e quindi Gheddafi potrebbe perfino approdare in Italia, magari a Lampedusa, senza essere consegnato alla corte internazionale dell’Aja, dato che per esempio “la legge sull’attuazione del riconoscimento della corte dell’Aja è ferma da mesi in parlamento” denuncia il radicale Matteo Meccacci. Bisognerà aspettare le decisioni degli organi internazionali e nazionali per avere maggiori certezze sull’applicazione del trattato: di sicuro, la scelta bipartisan di affidarsi politicamente a un dittatore e anche economicamente (invece di diversificare i partner “energetici”) non è stata buona. E adesso, molti del Pd e di centrosinistra, si vantano perfino della loro “assenza” al voto del trattato, quando sarebbero dovuti essere in aula a far valere la loro posizione contraria. A votare contro furono Radicali, Udc, Idv e due membri del Pd.