Camusso frena sulla riforma del lavoro

di Gianni Puglisi Commenta

Approvazione che potrebbe non arrivare nel caso in cui le modifiche strutturali all'Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori rimangano quelle, ancora misteriose, parzialmente elaborate nel corso dell'incontro di mercoledì

Susanna Camusso, attuale leader della Confederazione Generale Italiana del Lavoro, o CGIL, sarebbe tornata a parlare dell’imminente riforma del lavoro sostenendo come l’intesa governo – partiti di maggioranza raggiunta nella notte, proprio sul delicato tema del futuro mercato del lavoro, tra i rappresentati del Governo Monti e i segretari generali dei principali partiti di maggioranza, non sia da considerarsi degna di alcun valore poiché priva dell’approvazione dei sindacati che, soprattutto nell’elaborazione di una si complessa riforma, dovrebbe rivestire un ruolo quanto mai decisivo.

Approvazione che, in base a quanto espressamente dichiarato quest’oggi dalla segretaria  della CGIL, potrebbe non arrivare nel caso in cui le modifiche strutturali all’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori rimangano quelle, ancora misteriose, parzialmente elaborate nel corso dell’incontro di mercoledì 14 marzo 2012 tra i sindacati e il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali.

Nonostante vi sia, infatti, l’urgentissima necessità di manutenere l’art. 18, ormai inadeguato alla condizione socio-economico-finanziario-politica italiana ed europea, Susanna Camusso avrebbe sin da oggi stabilito come le proposte finora sentite dal governo non andrebbero bene e non sarebbero adeguatamente convincenti.

Pomo della discordia, naturalmente, il succitato art. 18, che secondo la segretaria della CGIL: “è una tutela generale, ha una funzione di deterrennza rispetto all’arbitrio sui licenziamenti. Manutenzione dell’articolo 18 può voler dire tante cose. Se uno ha davanti una macchina, manutenzione può anche voler dire cambiare il motore. Oppure metterci l’olio“, ma anche gli ammortizzatori sociali per i quali, stando ai più importanti esperti italiani, non solo non sarebbe stato ancora trovato il benché minimo accordo tra le parti sociali coinvolte bensì nemmeno i fondi per sostenerli inficiando così, di fatto, qualsiasi possibilità di riformare il welfare.