Insieme a Oscar Luigi Scalfaro, Giulio Andreotti è l’ultimo sopravvissuto dell’Assemblea..
Mercoledì prossimo Andreotti compirà novant’anni, e per l’occasione ha concesso un’intervista a tutto campo al quotidiano “La Repubblica”.
Convinto di essere destinato al Paradiso (“ma per la bontà di Dio, non perché me lo meriti”), Andreotti ripercorre la sua carriera e la sua vita, con ricordi dei genitori, della sua gioventù e di alcune promesse mai mantenute alla moglie Livia, come quella che si sarebbe ritirato dalla politica a sessant’anni.
Rimpiange la politica di un tempo, in cui si batteva paese per paese tutto il collegio elettorale (“i primi anni non ho mai dormito a casa un sabato”) e ricorda con nostalgia non tanto le persone quanto i metodi della Prima Repubblica, “il contatto con la gente che c’era prima” e la maggiore vivacità interna dei partiti e dei sindacati (“oggi sono delle burocrazie”).
Andreotti non si sente ancora pronto per la pensione (“giro ancora abbastanza, partecipo a molte riunioni”) e non tradisce la sua rabbia per le sue vicende giudiziarie (“hanno usato i processi per mettermi fuori gioco”).
Infine, il senatore a vita si dichiara contrario al presidenzialismo (“chi ha avuto un periodo di dittatura deve stare attento alle ricadute”), e si lascia andare a frasi sibilline sulla sua conoscenza dei segreti di Stato.
“Molti no, qualcuno sì”, afferma. “Ma li tengo per me. Non farei mai un’intervista o un libro su certi episodi. La categoria del folklore politico non mi appartiene”.