Dare del gay a qualcuno, con l'intenzione di denigrarlo, rappresenta reato.
La sentenza segna come ingiuria il contenuto presente in una lettera con cui un 71enne offendeva il destinatario ricordando il suo “essere gay”.
La storia ha un po’ dell’assurdo, perchè nelle missiva si sottolineava come la preferenza sessuale dell’uomo fosse emersa in maniera chiara durante una vacanza in montagna trascorsa dall’interlocutore con un marinaio.
Nella lettera veniva fatto chiaro riferimento anche a un allontanamento subito dal destinatario da un club sportivo frequentato da ragazzini.
L’imputato, uscendo addirittura anche dalla sfera delle preferenze sessuali, accusava l’uomo anche di aver rubato dei documenti dai pubblici uffici e di aver favorito in un concorso la nipote dell’imputato stesso. Questo aveva fatto scattare inevitabilmente una condanna per ingiurie nei primi due gradi di giudizio.
La Suprema Corte ha confermato tale decisione, ed ha sottolineato come l’uso del termine gay, in questa situazione, aveva acquistato un tono offensivo, dato il suo collegamento con due precisi episodi, da cui emergeva il chiaro intento denigratorio e l’intenzione di adombrare un’accusa di pedofilia.
Contro l’imputato ha giocato anche la sua dichiarazione di essere laico e apertissimo, e di non giudicare i costumi sessuali di nessuno.