Le norme che stabiliscono le modalità dell'ingresso nel nostro paese del socio straniero prestatore d'opera non devono essere utilizzate contro chi partecipa attivamente nella società inserendo denaro.
Questo concetto è stato ribadito ancora una volta dal Tar del Lazio, in seguito al ricorso di un cittadino russo presentato contro il Ministero degli Affari Esteri.
Il contenzioso è sorto con il rifiuto del Consolato Generale d’Italia a San Pietroburgo della richiesta di visto d’ingresso per lavoro autonomo presentata dall’uomo russo.
Secondo il Consolato, il fatto che il ricorrente non avesse presentato il certificato di iscrizione della società nel registro delle imprese o la copia dell’ultimo bilancio della società (m anche l’ultima dichiarazione dei redditi), dalla quale si potesse leggere che l’entità dei proventi era idonea, rappresentava il motivo per negare il visto.
Il ricorso è stato ritenuto fondato dal momento che al Consolato avevano erroneamente applicato la legge prevista per il socio prestatore d’opera, invece di quella destinata al socio che apporta del denaro nella società.
Inoltre il Tar ha anche voluto precisare che l’integrazione delle leggi riguardanti il visto non può essere effettuata tramite circolari o atti emanati dall’amministrazione in quanto questo compito è esclusivamente del Legislatore.
E’ stato così annullato il provvedimento nei confronti del cittadino russo.