Il fair play sbandierato in campagna elettorale, qualsiasi campagna elettorale, svanisce nell’esatto momento in cui il parlamentare, da noi democraticamente eletto affinché faccia parte di quella determinata coalizione, cominci a sedere per la prima volta sul proprio scranno, divenendo immantinente mutevole e cangiante quale una banderuola scossa da forti e contrastanti venti.
► LA TRUFFA DELLA RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI
Per non parlare poi, pratiche ormai così diffuse da considerarsi anomalamente normali, della concessione di favori a questo piuttosto che a quel parente, della nomina dei propri cari a ruoli istituzionali della massima importanza, della parzialità dei giudici, dell’incompetenza dei tecnici, del salvataggio politico dei parlamentari colpevoli di un qualche reato e di molte altre consuetudini, perfettamente legali, moralmente deprecabili.
Proprio su questo concetto, sulla sottile differenza tra ciò che è giusto e ciò che è lecito, sull’eventuale possibilità che i comportamenti disdicevoli possano, in un futuro ideale e perciò utopistico, venir regolamentati da apposite normative, per lo meno a livello istituzionale, Michele Ainis avrebbe pubblicato, sulle colonne de L’Espresso di cui è un frequente opinionista/editorialista, una sorta di galateo, avente valore di legge, grazie al quale la politica potrebbe cercare di recuperare lo smalto etico perso nel corso degli anni e delle più scabrose vicende della complicata storia della Prima e della Seconda Repubblica.
► PRIVILEGI DEI CONSIGLIERI REGIONALI
Secondo questo particolare vademecun, dunque, la politica italiana potrebbe essere migliore se soltanto si sforzasse di garantire:
– l’ineleggibilità dei parlamentari passati da uno schieramento all’altro nel corso di una legislatura
– che i parenti degli eletti godano dei medesimi diritti e doveri dei comuni cittadini
– che nessun partito candidi un proprio tesserato affinché ricopra una qualsiasi carica pubblica/istituzionale
– che ogni politico debba dimettersi almeno una volta nella vita.